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La radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia. Ne "Gli Occhi della Storia” i giornalisti di Giornale Radio descrivono e...

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  • L'ultimo viaggio di Jurij Gagarin | Gli Occhi della Storia
    A cura di Daniele Biacchessi Ci sono storie che attraversano la grande Storia, dal passato al presente. Ci sono storie dimenticate che la Storia riporta a galla d'improvviso. Quella dell'astronauta russo Jurij Gagarin riguarda un giorno di aprile di tanti anni fa, ma anche ciò che accade con il conflitto tra Russia e Ucraina. Questa è la storia di un uomo semplice, umile, che aveva volato nello spazio prima di chiunque altro, in quello che sarebbe stato il suo grande sogno che si è trasformato invece nel suo ultimo viaggio, in mezzo alla Guerra fredda che opponeva Stati Uniti e Unione Sovietica, negli anni della corsa agli armamenti e alla ricerca di un primato nello spazio. «Il panorama è assolutamente bello e nuovo... la superficie terrestre cambia colore mentre viene illuminata dal cielo nero, dove posso vedere benissimo le stelle». La voce è del primo cosmonauta della storia: Jurij Gagarin. È il 12 aprile 1961. Quella giornata, al cosmodromo di Bajkonur, nel Kazakistan, sembrava una come tante altre. Fino a quando, alla base della piattaforma di lancio “numero 1”, giunge un pullmino simile a quelli impiegati per gite turistiche. L’autoveicolo bianco e arancione, si ferma a breve distanza dalla piattaforma su cui è appoggiata la grande torre a tralicci metallica, che avvolge un razzo vettore noto come “Zemiorka”. Assieme al gigantesco reticolato metallico, vi sono alcune passerelle che conducono ai “punti nevralgici” del razzo, alto circa 40 metri. Dal pullmino escono due uomini rivestiti da una tuta di volo color arancione, e con un casco pressurizzato; salutano, e poi con repentino scatto chiudono il visore esterno dei loro caschi. Prima di entrare nell’ascensore saluta, agitando entrambe le braccia, i tecnici che lo hanno atteso e quelli che lo hanno accompagnato fino alla rampa, oltre al collega (German Titov) che invece è destinato a restare a terra, e che, di fatto, ha rappresentato la sua riserva. Quando l’ascensore raggiunge la parte più alta della torre, il cosmonauta attraversa il braccio metallico e giunge fino all’apertura di un piccolo boccaporto circolare, con il portellone aperto. Entra nel boccaporto e in poco tempo si sistema, disteso, sull’unico sedile posto all’interno della navicella, e posizionato sopra un seggiolino eiettabile. La navicella è la Vostok 1 (in russo: “Oriente”). Non si conosce, in quel momento, il nome di quel cosmonauta, ma entro un’ora lo saprà il mondo intero. Jurij Gagarin era nato il 9 marzo 1934 nel villaggio russo di Klušino, nella provincia di Smolensk. Era un pilota dell’aviazione russa, con un curriculum ideale per le richieste dei responsabili del programma russo. La selezione avvenne nel 1960. Il padre era un artigiano di falegnameria, e la mamma era contadina. Il primo cosmonauta della storia era sposato con un'infermiera, Valentina, di un anno più giovane di lui. All’epoca del suo storico, primo volo orbitale, Jurij era padre di due figlie, Elena e Galina, nata appena cinque settimane prima. Il razzo vettore accendeva i suoi motori e si lanciava nel cielo del Kazakistan, quando a Mosca erano le 9,07. Ecco il sonoro originali di quegli attimi memorabili. La ricostruzione di quegli attimi del film Gagarin - Primo nello spazio, Il filmato della partenza, molto suggestivo, venne diffuso al mondo soltanto sette anni dopo: « Pojechali!, Partenza!», comunica Gagarin, che in 10 minuti entra in orbita attorno alla Terra. «Il cielo – comunica da lassù Gagarin – lo vedo nero, totalmente nero, e vedo la Terra azzurra sotto di me». E prosegue: «Lungo l’orizzonte c’è una striscia di un arancione brillante che poi assume una sfumatura d’azzurro, e poi passa al nero. Quello che mi colpisce di più è quanto sembra vicina la Terra, anche da questa altezza». La Vostok 1 stava passando sopra l’America Latina, per poi procedere verso il Sud dell’Atlantico e l’Africa. Dopo un’orbita completa attorno alla Terra, avvenne il rientro, critico, negli strati atmosferici. A circa 7 chilometri si dispiega il paracadute provvisorio, seguito a 4 chilometri di quota dall’apertura di quello principale. Poi, alla stessa quota Gagarin si lancia fuori dalla capsula con il seggiolino eiettabile e scende a terra con il paracadute, a distanza di sicurezza dal punto di atterraggio della capsula. La discesa avvenne nella regione di Smelovska, a poca distanza da una mucca e da due contadini che dalla loro fattoria osservavano con stupore e incredulità. L’atterraggio con seggiolino eiettabile verrà confermato solo trent’anni dopo. Si temeva che, con atterraggio fuori dalla capsula, la missione non venisse omologata dalla Federazione Astronautica Internazionale. I giornali di tutto il mondo giudicarono l’impresa come “leggendaria”, e alcuni definirono Gagarin come «un Cristoforo Colombo dei tempi moderni ». Era iniziata così, con quella storica missione, una nuova era: quella dell’uomo nello spazio. Il ritorno di Gagarin fu trionfale. Un lungo corteo di macchine lo fece sfilare nel centro di Mosca acclamato come un eroe nazionale, accanto a Crusciov. «Non vedo nessun Dio quassù». È una frase celebre di Gagarin. Ma lui non la pronunciò mai. Lo confermò alcuni anni fa Valentin Petrov, ex cosmonauta, sostenendo che Gagarin, battezzato nella Chiesa Ortodossa, era credente. Un fatto, quest’ultimo, confermato anche dal suo amico Alekseij Leonov, altra leggenda della cosmonautica. La stessa figlia Elena venne battezzata e la famiglia celebrava sempre Natale e Pasqua. E in casa c’erano molte icone religiose. Un altro mito sfatato insomma, per il primo leggendario uomo del cosmo e su quelle prime imprese pionieristiche dell’ex Urss. Dopo la storica impresa, Gagarin collaborò alla preparazione di altre missioni spaziali, come quella che nel 1963 porterà in orbita Valentina Tereskova. In seguito collaborerà allo sviluppo della navicella Sojuz (ancora oggi operativa) e proseguì l’addestramento, destinato a comandare il volo della Sojuz 3, primo del programma con equipaggio umano dopo quello della Sojuz 1 che nel 1967 si concluse tragicamente con a bordo Vladimir Komarov, di cui Jurij era riserva. Continuò pertanto a effettuare voli sui caccia Mig, per mantenere il numero di ore volo e addestramento. Ma il 27 marzo 1968, mentre stava effettuando con il copilota Seregin un normale volo di addestramento su un caccia Mig-15, perse il controllo del velivolo che cadde in avvitamento. Non si lanciò con il paracadute: in questo modo si sarebbero salvati, ma il Mig si sarebbe infranto su un’area abitata. Jurij morì a soli 34 anni. Maestoso è il monumento a lui dedicato in una piazza di Mosca; alto 40 metri e costruito in titanio, raffigura la scia di un razzo in cima alla quale c’è la statua del primo cosmonauta della storia. In tutto il mondo, già da alcuni anni, ogni 12 di aprile, associazioni di appassionati di astronomia e astronautica di mezzo mondo, celebrano eventi di astronomia e di divulgazione spaziale chiamata "Juri’s Night". La Notte di Jurij. Mai avrebbe immaginato Jurij di diventare oggetto di cancel culture, come si usa dire oggi, da sovietico ritornato russo, in quest’orribile tempo di guerra, e quindi soggetto a censura, come capitato a Dostoevski, alle nostre latitudini (e perfino al Moscow Mule, vodka e ginger ale che qualcuno ha ribattezzato Kiev Mule). Quella Jurij Gagarin resta una impresa che resta per sempre, indipendentemente dai conflitti, dalle guerre, dalla violenza, dalla morte. _______________________________ “Gli Occhi della Storia”, è una produzione di Giornale Radio, dove la radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia. Ne "Gli occhi della Storia” i giornalisti di Giornale Radio descrivono e contestualizzano i principali eventi del passato, per rivivere e comprendere a pieno gli avvenimenti che hanno cambiato la nostra società. Resta collegato con Giornale Radio, ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornaleradio.tv/?hl=it
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    16:55
  • La giornata della memoria della Shoah | Gli occhi della storia
    A cura di Daniele Biacchessi Il 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la giornata della memoria della Shoah che ricorda lo sterminio pianificato da parte nazista di milioni di ebrei, oppositori politici, minoranze. Il simbolo dell'Olocausto è la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz. Vedo, racconto, e scrivo. Lo sguardo della Storia passa proprio dagli occhi dei testimoni, come quelli di Primo Levi che da sopravvissuto diventa poi lo scrittore della memoria dei campi di concentramento nazisti. Lui si ricorda quel giorno d'inverno di tanti anni fa. E' il 27 gennaio 1945. Sono le ore cruciali dell'avanzata americana e sovietica verso Berlino, il cuore del nazismo, dove Hitler e i suoi gerarchi sono sempre più accerchiati. Cadono ad uno ad uno i fronti di guerra e le truppe riunite intorno all'Asse (Germania, Italia, Giappone), lasciano sul campo una lunga scia di orrore e di morte. I soldati dell’Armata Rossa superano il cancello del campo di sterminio nazista di Auschwitz, già evacuato da alcuni giorni. Attraversano il grande cancello di ferro che porta la scritta “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi, la stessa che hanno visto 960 mila ebrei, 74 mila polacchi, 21 mila rom, 15 mila prigionieri di guerra sovietici e 10 mila persone di altre nazionalità sterminati in pochi anni dalle SS naziste. Quel giorno termina il più imponente sterminio di massa della storia avvenuto in un unico luogo. Ma Auschwitz non è il solo campo di concentramento messo in piedi da Adolf Hitler e Himmler. Paesi disseminati da lager, come spiega Primo Levi Per comprendere questa storia bisogna tornare indietro di qualche anno. Il 1 settembre 1939, la Germania nazista invade la Polonia scatenando la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dei tedeschi nel giugno 1941, le SS di Himmler praticano quella che viene chiamata la “soluzione finale”, l'eliminazione di massa di intere comunità di ebrei in Europa. Sempre nel 1941 vengono introdotte camere a gas mobili montate su autocarri e i nazisti costruiscono numerosi campi di sterminio come quello di Auschwitz, in Polonia. Fa parte di un complesso più grande che comprende anche il campo di sterminio di Birkenau e il campo di lavoro di Monowitz. Ad Auschwitz-Birkenau alla fine della primavera del 1943, funzionano quattro camere a gas che utilizzano la sostanza tossica nota come Zyklon B. Nell’estate del 1944, l’offensiva sovietica si spinge fino alla Vistola, 200 chilometri dal campo di concentramento di Auschwitz e inizia ad espandersi verso il cuore della Germania. Sono i giorni in cui Hitler e Himmler sentono il fiato sul collo e procedono con lo smantellamento del lager. Le forze sovietiche entrano nel campo di Majdanek, vicino a Lublino, Polonia, nel luglio del 1944. Nell’estate del 1944, l’Armata Rossa conquista anche le zone in cui si trovano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka. Nel novembre del 1944, due mesi prima della liberazione, Himmler ordina la distruzione delle camere a gas di Birkenau rimaste ancora in funzione e il 17 gennaio 1945 ad Auschwitz viene fatto l’ultimo appello generale dei prigionieri. Le SS evacuano il campo a metà gennaio 1945. Migliaia di prigionieri vengono uccisi mentre altri, circa 60 mila, sono costretti a un’evacuazione forzata e a prendere parte a quelle che sarebbero poi divenute famose come “marce della morte”. Le marce procedono verso nord-ovest, fino a Gliwice, per 55 chilometri lungo i quali vengono raccolti anche i prigionieri dei sottocampi dell’Alta Slesia Orientale (Bismarckhuette, Althammer e Hindenburg), e verso ovest, per circa 60 chilometri, in direzione di Wodzislaw. Durante il cammino, le SS uccidono 15 mila prigionieri. Chi sopravvive viene invece caricato su treni merci e trasportato nei campi di concentramento in Germania. Si arriva all'epilogo finale. Il 27 gennaio 1945, verso mezzogiorno. Le prime truppe sovietiche del generale Kurockin varcano il cancello di Auschwitz, trovano 7 mila prigionieri lasciati nel campo. Magri, denutriti, molti sono bambini sotto gli otto anni. Un mucchio di cadaveri come ricorda Primo Levi. I sovietici trovano cumuli di vestiti e tonnellate di capelli pronti per essere venduti. E poi occhiali, valigie, utensili da cucina e scarpe. E vengono rinvenute fosse dove sono sepolti i resti di un pezzo di umanità. Da quel cancello di Auschwitz con la scritta lugubre “Arbeit macht frei” ci è passata anche Liliana Segrè e centinaia di migliaia di ebrei e oppositori politici provenienti da ogni parte d'Europa. I suoi sono gli occhi della Storia e della memoria sono gli occhi di una bambina. I suoi occhi hanno visto l'orrore a soli 13 anni, quando, il 30 gennaio 1944, viene portata al Binario 21 della Stazione Centrale di Milano. Poi viene caricata su un treno merci. Infine viene deportata nel campo di concentramento e sterminio di Auschwitz e dall'inferno del nazismo. Oggi Liliana Segrè ha 90 anni. Da Auschwitz è riuscita a portare a casa la pelle per miracolo. E' una testimone, una delle ultime ancora in vita. Ha speso buona parte della sua vita a ricordare ai ragazzi, anche a quelli più giovani, che non si deve mai abbassare la guardia, perché il passato può ancora ritornare. Liliana Segrè dice che la violenza, la morte, la distruzione, la sopraffazione dell'uomo su un'altro uomo sono potuti accadere solo grazie alla indifferenza. E per affermare questo ed altri principi resta sotto scorta. Liliana ha perfettamente ragione. Il suo esempio, la sua testimonianza rappresentano oggi l'anticorpo della nostra ancora fragile democrazia. _______________________________ “Gli Occhi della Storia”, dove la radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia. Ne "Gli occhi della Storia” i giornalisti di Giornale Radio descrivono e contestualizzano i principali eventi del passato, per rivivere e comprendere a pieno gli avvenimenti che hanno cambiato la nostra società. Resta collegato con Giornale Radio, ascoltaci sul sito: https://www.giornaleradio.fm oppure scarica la nostra App gratuita: iOS - App Store - https://apple.co/2uW01yA Android - Google Play - http://bit.ly/2vCjiW3 Resta connesso e segui i canali social di Giornale Radio: Facebook: https://www.facebook.com/giornaleradio.fm/ Instagram: https://www.instagram.com/giornaleradio.tv/?hl=it Twitter: https://twitter.com/giornaleradiofm
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    17:38
  • Charlie Hebdo | Gli Occhi della Storia
    L’attentato a Charlie Hebdo, una rivista di satira francese nel cuore di Parigi, è un episodio plateale che appartiene all’escalation del terrorismo nata dallo scontro tra due mondi. Il mondo fondamentalista da una parte e la democrazia dall’altra. Il pretesto era legato ad una serie di vignette su Maometto che fin dal 2006 avevano portato ad attentati alla sede del periodico e una stretta vigilanza della sede da parte della polizia. Prima di quel 7 gennaio 2015 la recrudescenza del terrorismo si era manifestata in particolare in Canada, Australia e la stessa Francia, creando già un senso di disagio tra la comunità. Quel giorno di gennaio alle 11:30 i terroristi armati entrano nella sede di Charlie Hebdo prendendo in ostaggio una disegnatrice e costringendola a rivelare il codice per entrare nella redazione. Una volta entrati urlano il consueto Allāhu Akbar, sparano a tutti e lasciano 12 vittime. La fuga dei terroristi entra nella storia per il protagonismo degli assassini che cercavano pubblicità, gloria e sangue, compiendo altri gesti ìnfami, come l’uccisione di un poliziotto a terra, anche se era un gesto gratuito e l’uomo si chiamava Ahmed Merabet, brigadiere di fede musulmana. I due terroristi ancora senza nome scappano, le televisioni trasmettono quelle immagini e tutto il mondo osserva con orrore mentre la polizia cerca di catturarli. I due giorni che seguono sono carichi di tensione e morte, qui ricostruiti dal TG2 Dal 2001 in avanti il terrorismo ha raggiunto lo scopo di terrorizzare ma soprattutto di creare imbarazzo e diffidenza. Per quanto si tratti di un attentato anomalo, proprio gli obbiettivi: dei vignettisti, ovvero artisti, intellettuali, non decisori politici, non soldati, nessuno che possa essere un reale pericolo per chi pretende di portare avanti una qualunque causa, crea nelle prime reazioni un sentimento di rabbia e di smarrimento. Le vittime infatti sono persone straordinarie, di grande talento, uccise in modo bestiale. La caccia intanto va avanti anche il 9 gennaio, con i terroristi in fuga che, apprenderemo quasi subito, sono fratelli e si chiamano Kouachi. Le inquadrature delle televisioni di tutto il mondo ritraggono il supermercato, la consapevolezza che da un momento all’altro potrebbe accadere qualcosa, spinge milioni di persone a seguire con apprensione le riprese di un’azione imminente. Questa è la testimonianza di una famiglia salernitana. Parla Antonio Trotta residente in Francia da tanti anni con la famiglia, il quale abita vicino alla zona e racconta dei terroristi asserragliati con gli ostaggi. I due fratelli Kouachi vengono uccisi nel pomeriggio durante l'irruzione nella tipografia dove si erano asserragliati. L’altro terrorista, Amedy Coulibaly, barricato nel supermercato Kosher, viene ucciso all'interno del supermarket dove teneva gli ostaggi. La prima ad essere colpita è una cassiera di soli 21 anni, ammazzata davanti a tutti per essere di religione o di origine ebraica, proprio come le altre vittime. Il fanatico fa in tempo a cancellare altre tre vite, con la minaccia di uccidere anche un bimbo di pochi mesi nel supermercato. La compagna di Coulibaly, Hayat Boumedienne, 26 anni, viene ricercata per essere interrogata come persona informata sui fatti, ma lei fugge e dal 2 gennaio 2015 vive in clandestinità per sfuggire alla condanna a 30 anni per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo, coperta probabilmente dallo Stato Islamico. L’epilogo porta con sé polemiche furibonde che non risparmiano nessuno, a partire dai servizi segreti francesi che, come quelli americani nel 2001, sembrano colpevoli di un incredibile approssimazione, come sostiene il giornalista Carlo Panella Lo sostiene anche Andrea Marcelletti Consigliere per le Politiche di Sicurezza e di Contrasto al Terrorismo del Ministro della Difesa. Dietro ma anche ai lati di questo attentato ci sono sospetti, come sempre del resto, perché non è facile credere che, nonostante le tante informazioni, non si riesca a impedire preventivamente un evento del genere. L’idea è sempre che ci sia un complotto di mezzo, suggerendo implicitamente che si preferisca fingere di non sapere per avere il pretesto di fare delle azioni con interesse strategico. Lo si dice in ogni occasione, da Pearl Harbor all’attacco alle Torri Gemelle ma il tema è anche quello di una manipolazione dell’odio, diretto, guidato da Stati che speculano su questo sentimento per spingere migliaia di potenziali pedine a fungere da martiri, convinti come sono che uccidere chiunque sia persino un atto di eroismo. Sempre Carlo Panella sostiene come dietro ci sia una leva che parte da una cultura estremista degli stessi tribunali di quei Paesi I giorni che seguono creano un dibattito internazionale sulle origini del male, sulle cause che spingono gli estremisti a uccidere indiscriminatamente, privandosi di quel residuo di umanità e immolandosi per una causa che non rappresenta l’Islam. Per giorni e purtroppo anche i mesi seguenti, assisteremo ad altri episodi gravissimi, ancora più sanguinari che creano solo confusione e un corto circuito dell’informazione. Si sprecano le inchieste e si comprende solo che Al Qaeda è il nemico e che si tratta un movimento paramilitare. Si cerca di educare a non confondere tra il sostantivo islamista da islamico, che ha un significato diverso ma il nocciolo della questione è che l’attentato a Charlie Hebdo, al supermercato Kosher e tutti i morti che vengono lasciati a terra sono il risultato di un’intolleranza. C’è tanta prudenza, forse troppa nel distribuire responsabilità ed essere politicamente corretti, così tocca paradossalmente proprio alla satira, danneggiata gravemente dalla strage, dire cose che la politica non sa dire, come dimostra Maurizio Crozza che usa una dichiarazione di Hilary Clinton per riassumere i fatti, una dichiarazione tanto limpida, lucida e nello stesso tempo spiazzante I finanziamenti destinati a pedine che servano a fini strategici, qualcosa che i romanzi di Philip Roth, Robert Ludlum o Tom Clancy hanno sempre descritto. Anche il cinema con Nessuna verità di Ridley Scott o Fair Game con Sean Penn e Naomi Watts, hanno mostrato impietosamente vicende reali, descrivendo fatti che una parte dell’opinione pubblica americana ha sempre cercato di screditare o ridurre ai minimi termini. In fondo nella percezione comune un libro resta tale, a maggior ragione un film. Eppure da tempo è noto come le politiche dei grandi Stati considerino utili determinati piani. Un giorno sono gli Stati Uniti che arruolano uomini trasformandoli in soldati contro i loro nemici, un altro è la Russia che gestisce i profughi bielorussi ammassati a ridosso della frontiera polacca, lettone e lituana. Così, dopo aver usato degli uomini per uno scopo, altri ne approfittano subito dopo per adulterare le menti con la religione, gli danno una motivazione e un nemico e questi esseri, privi di consapevolezza e di interesse per la stessa propria vita, uccidono con entusiasmo. In seguito arriveranno le decapitazioni viralizzate sui youtube, sfruttando l’ambiguità degli amministratori dei social, i video promozionali di Al Qaeda e l’Isis e altre forme di condizionamento. Charlie Hebdo è stato un episodio fragoroso nel quale l’Occidente ha finalmente iniziato a domandarsi se i propri principi si siano indeboliti, semplicemente perché ci siamo abituati ad essi e ora ha scoperto la propria vulnerabilità di fronte ad un nemico primitivo, manipolato da altri Paesi. Urlare e manifestare in piazza Je suis Charlie è stato una reazione umana ed emotiva ma da quei giorni i centri delle città sono blindati, le piazze controllate, le forze di sicurezza aumentate ovunque e la diffidenza è diventata un sentimento comune usato strumentalmente da altre forze politiche. Tutti usano tutti e i terroristi, spesso giovani facilmente manipolabili, sono le perfette armi di distruzione, troppo vuoti, senza strumenti culturali e una cieca obbedienza che abbiamo imparato a conoscere sotto il nome fin troppo nobile di terrorismo. _______________________________ “Gli Occhi della Storia”, dove la radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia. Ne "Gli occhi della Storia” i giornalisti di Giornale Radio descrivono e contestualizzano i principali eventi del passato, per rivivere e comprendere a pieno gli avvenimenti che hanno cambiato la nostra società. 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    19:32
  • Tsunami dell’Oceano Indiano | Gli Occhi della Storia
    A cura di Francesco Massardo Ci sono momenti in cui il silenzio è una necessità più che un dovere. Momenti in cui non si può chiudere il mondo dietro la porta di casa, lui là fuori, noi qui dentro a festeggiare. Quello del 2005 non fu un Capodanno come gli altri. Il mondo, fuori, ci era entrato in casa senza bussare: qualche giorno prima, il 26 dicembre del 2004, nella giornata di Santo Stefano, la terra intera aveva assistito sgomenta a uno dei più devastanti eventi catastrofici della storia, almeno per quanto riguarda l’umanità. E così, mentre in rigoroso ciclo da Sidney a Los Angeles, il pianeta si apprestava a entrare nel 2005, lo sgomento e le immagini di morte e devastazione erano ancora troppo vivide per lasciare spazio ai festeggiamenti. Il maremoto dell'Oceano Indiano e della placca indo-asiatica del 26 dicembre 2004 è stato uno dei più catastrofici disastri naturali dell'epoca moderna e ha causato centinaia di migliaia di morti. A stupire in modo ancora oggi indelebile fu la rapidità con la quale un’area immensa del nostro pianeta venne messa in ginocchio. L’evento ha riguardato l'intero sud-est dell'Asia, giungendo a lambire addirittura le coste dell'Africa orientale. Nello specifico, i maremoti hanno colpito e devastato parti delle regioni costiere dell'Indonesia, dello Sri Lanka, dell'India, della Thailandia, della Birmania, del Bangladesh e delle Maldive, giungendo a colpire le coste della Somalia e del Kenya (ad oltre 4.500 km dall'epicentro del sisma). L'evento ha avuto inizio alle ore 07:58:53 locali, quai le due di notte in Italia del giorno di Santo Stefano quando un violentissimo terremoto, con una magnitudo di 9,1, ha colpito l'Oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra in Indonesia. Il sisma è durato 8 minuti. Tale terremoto è risultato in effetti il terzo più violento degli ultimi sessant'anni, dopo il sisma che colpì Valdivia, in Cile, il 22 maggio 1960 e quello dell'Alaska del 1964, rispettivamente con magnitudo 9,5 e 9,2, ma che per la scarsa densità abitativa di entrambi i luoghi, hanno totalizzato assieme poco più di tremila vittime, un numero alto, ma imparagonabilmente minore rispetto al dramma asiatico. Il terremoto ha scatenato nel 2004 delle grandi onde anomale che hanno colpito sotto forma di immensi maremoti (con un impressionante picco massimo di 51 metri, registrato a Lhoknga, in Indonesia) le coste dell'oceano Indiano, ma sono anche state registrate lievi fluttuazioni di livello nell'oceano Pacifico. Il numero totale di vittime accertate causate da questa serie di cataclismi è di circa 226.000 esseri umani, ma decine di migliaia di persone sono state date per disperse, mentre fra i tre ed i cinque milioni furono gli sfollati. A fronte di stime iniziali molto più conservative, il responsabile delle operazioni di soccorso dell'Unione europea, Guido Bertolaso, aveva fin dalle prime ore affermato che i morti avrebbero potuto essere alla fine ben più di 100.000, mentre in seguito sono circolate stime che pongono tra i 150.000 ed i 400.000 il numero dei morti per conseguenza diretta del terremoto e del conseguente maremoto soltanto in Indonesia. Dato ancor più devastante, secondo le organizzazioni umanitarie, circa un terzo delle vittime potrebbe essere costituito da bambini, specie in considerazione del fatto che fra le popolazioni delle regioni interessate dalla sciagura vi è un'alta proporzione di minori che hanno potuto opporre una minore resistenza alla forza straripante delle acque. Oltre alle popolazioni residenti, vi sono state tra le vittime molti turisti stranieri che si trovavano in quelle zone nel pieno delle vacanze di Natale, che nell’emisfero australe è periodo di alta stagione. Ad esempio, è notevole il fatto che questo singolo evento abbia causato quasi lo stesso numero di vittime di nazionalità svedese (543, delle quali 542 nella sola località thailandese di Khao Lak) di quante non ne avesse causate l'intera Seconda guerra mondiale (circa 600); la causa è da ricercare ovviamente nel fatto che la Thailandia è ormai la meta tradizionale del turismo invernale svedese soprattutto della terza età. Nel 2004 strumenti che oggi diamo per sContati come app di messaggistica online e social media erano ancora avveniristici: il mancato avvertimento dell'imminente arrivo dell'onda mortale, soprattutto in India e Sri Lanka, ha provocato in queste regioni 55.000 morti. alcuni storici hanno ipotizzato che questo potrebbe essere il più costoso maremoto in termini di vite umane a memoria d'uomo. La storia non si fa col senno di poi, ma se le popolazioni costiere fossero state avvertite da messaggi televisivi, o tramite i cellulari, o da veicoli muniti di altoparlanti, sarebbe bastato uno spostamento di cinquecento metri verso l'interno, o su alture vicine, per non cadere vittime del maremoto, una distanza ridicola se pensiamo che avrebbe tracciato il confine tra la vita e la morte. Il fattore del tempo è quello che ancora oggi grida più vendetta, se consideriamo che l'onda ha impiegato circa tre ore ad attraversare il Golfo del Bengala prima di infrangersi violentemente contro le coste indiane e singalesi. Casualità incontrovertibile o dramma annunciato? I maremoti sono piuttosto frequenti nell'oceano Pacifico, dove le popolazioni ed i governi sono più preparati a questo fenomeno e dove sono in funzione degli evoluti sistemi di allerta. Nell'oceano Indiano l'ultimo maremoto paragonabile a questo avvenne nel 1883, a seguito dell'eruzione e della conseguente esplosione del Krakatoa. Il numero elevato di vittime di questo maremoto potrebbe essere anche dovuto al fatto che i paesi colpiti erano anche in quel caso del tutto impreparati all'evento e che le popolazioni stesse non si sono rese conto e non hanno compreso i segnali che avrebbero potuto far riconoscere loro l'arrivo di un maremoto. Lo stato di emergenza venne dichiarato nello Sri Lanka, in Indonesia e nelle Maldive, mentre le Nazioni Unite hanno dichiarato che le operazioni umanitarie effettuate a seguito del cataclisma sono state le più costose della storia. I governi e le ONG nel frattempo avevano lanciato l'allarme sul fatto che il numero di vittime finale sarebbe potuto aumentare a causa di eventuali epidemie. La Provincia indonesiana è stata la più colpita dallo tsunami, con oltre 166 mila morti e dispersi e più di mezzo milione di persone rimaste senza casa. La scuola di Ibu, che a 10 anni dal maremoto affidò alle pagine del messaggero i suoi ricordi, è una di quelle ricostruite da Save the Children nell'ambito dei programmi di Educazione. «Abbiamo sentito il terremoto e poi un'esplosione. I bambini sono fuggiti all'esterno, urlando e chiedendo aiuto. Il mare si alzava verso la terra - racconta Ibu - Siamo tornati dopo due giorni per capire cosa fosse rimasto della scuola e intorno a noi c'erano solo cadaveri. Erano bambini che abitavano nei dintorni e abbiamo cercato nei loro zainetti per cercare di capire chi fossero e riconsegnare i corpi alle loro famiglie Mio figlio era con me e ancora oggi non riesco a immaginare come possa essersi sentito a vedere lì i corpi dei suoi amici». «Prima dello tsunami, gli studenti della nostra scuola erano 125, dopo ne sono rimasti 75 - racconta ancora Ibu - La comunità si è ridistribuita diversamente sul territorio, la maggior parte delle persone non aveva un posto dove vivere. Oggi abbiamo una scuola migliore e i bambini sono felici perché hanno una scuola più bella di quella di prima. Questa scuola, con la benedizione di Dio, può resistere al terremoto Ora siamo più sereni», conclude Ibu. C’è un dato, uno solo a dire il vero, che restituisce in parte speranza a queste pagine scure della storia umana. Gli eventi del 26 dicembre 2004, uniti certamente alle immagini impressionanti della potenza dello tsunami, hanno generato una corsa agli aiuti umanitari senza precedenti. Secondo l’UNICEF sono 230.000 le persone, in maggioranza donne e bambini, che persero la vita nella tragedia. Intere comunità sono state distrutte, case, scuole e centri sanitari sono stati spazzati via. Tuttavia, gli aiuti internazionali forniti alle popolazioni per la ricostruzione hanno permesso di ripristinare i servizi di base e di ricostruire "meglio di prima". Nel suo complesso, la comunità internazionale (governi, agenzie ONU, ONG) ha donato per l’emergenza più di 14 miliardi di dollari. L’UNICEF ha contribuito con circa 694,7 milioni di dollari, tre quarti dei quali derivanti esclusivamente dall’attività di raccolta fondi presso il settore privato da parte dei Comitati Nazionali. Come detto non soltanto è stato possibile ricostruire nuovamente e meglio alcuni servizi di base, come centri sanitari, scuole e infrastrutture idriche, ma si è anche potuta aumentare la sicurezza nelle comunità più colpite dal disastro, soprattutto per proteggere i bambini e le bambine. In Indonesia, per esempio, "la risposta internazionale a questa emergenza ha creato un’occasione senza precedenti per accelerare il processo di pace tra il governo Indonesiano e gli indipendentisti armati del Free Aceh Movement fino all’accordo di pace firmato da entrambi le parti nell’agosto del 2005. Oltre a soddisfare le necessità immediate dovute all’emergenza dello tsunami, le attività di ricostruzione portate avanti dall’UNICEF si sono concentrate sia nelle zone danneggiate dal maremoto sia nelle aree di conflitto, una scelta strategica orientata a consolidare la pace conquistata in seguito al disastro naturale. In Thailandia la ricostruzione è servita anche per favorire la nascita di sistemi nazionali a tutela dell’infanzia. Nel 2007 è stato creato un Sistema di vigilanza per la protezione dell’infanzia con lo scopo di identificare e monitorare i bambini orfani a causa del disastro e quelli a rischio. Il programma, che nel 2007 è stato applicato in 27 sotto distretti e in 36 nel 2008 e poi esteso su scala nazionale. Ovviamente non mancarono gli eventi il cui ricavato venne devoluto in aiuto dei paesi colpiti. Su tutti spicca l’IRB Rugby Aid Match, incontro di rugby a 15 che si tenne allo stadio di Twickenham di Londra il 5 marzo 2005. Il match si tenne tra due selezioni di giocatori, una per ciascun emisfero; selezionatore dell'Emisfero Nord fu l'inglese Sir Clive Woodward, mentre per l'Emisfero Sud fu l'australiano Rod McQueen. L'incontro terminò con la vittoria dell'Emisfero Sud per 54 a 19, ma ovviamente l'obiettivo era quello di raggiungere, tra gli incassi ed eventuali donazioni, la cifra di 3 milioni di sterline. L'evento fu seguito allo stadio da più di 40.000 spettatori paganti. E rimanendo nella beneficenza sportiva, il World Cricket Tsunami Appeal è stato uno sforzo dell'International Cricket Council per raccogliere fondi per gli sfollati e per la ricostruzione. La partita è stata giocata al Melbourne Cricket Ground il 10 gennaio 2005. Lo tsunami ha infatti colpito diverse nazioni dove il cricket è sport nazionale. Il maremoto del 2004 ha segnato, restando in un gioco di parole inquietante, uno spartiacque nella storia degli aiuti umanitari. Oggi nelle coste colpite, le uniche tracce del passaggio delle onde sono quelle volutamente lasciate in ricordo perenne, ma quella forza distruttrice lasciò strascichi in tutto il mondo. A Londra, a due passi dal museo di storia naturale troverete un blocco di granito da 120 tonnellate, un cubo di 4,1 metri con un angolo rimosso. Secondo Handy Shipping Guide l’installazione è stata il "più grande trasporto di un singolo pezzo di pietra nel Regno Unito dalla costruzione di Stonehenge". Il principale organizzatore di questo memoriale, Michael Holland, ha perso sua madre, sua moglie e sua figlia nel disastro.   Ascolta lo speciale su Giornale Radio nella sezione "Gli occhi della storia"  Ci trovi anche in FM, DAB.  Scarica l'app per dispositivi mobili per rimanere sempre aggiornato 👉https://giornaleradio.fm/scarica-app.html
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    19:12
  • Piazza Fontana: il buco nero della Storia italiana | Gli Occhi della Storia
    A cura di Daniele Biacchessi 12 dicembre 1969. Una bomba ad alto potenziale viene collocata nel centro del salone della Banca Nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana a Milano dove i cosiddetti fittavoli contrattano i loro affari. 17 morti e 88 feriti. E' la strage che inaugura una lunga stagione di attentati di chiara marca fascista che va sotto il nome di “strategia della tensione” che insanguina il nostro Paese da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. È il profondo buco nero della Storia italiana. Il 1969 è l’anno degli scioperi, dei cortei di operai e studenti in tutto il paese. Torino, Milano, Genova, il triangolo industriale. È l’anno delle bombe. Dal 3 gennaio al 12 dicembre se ne conteranno 145, una ogni tre giorni. Per 96 la responsabilità accertata è dell’estrema destra. Il 15 aprile ne scoppia una nell’ufficio del Rettore dell’Università di Padova. Il 9 aprile a Battipaglia vengono uccisi 2 lavoratori e 119 persone sono arrestati. Il giorno dopo ci saranno manifestazioni in tutta Italia, accompagnate da violenti scontri con la polizia. Il commissariato di Battipaglia viene dato alle fiamme. Il 25 aprile, alla Fiera di Milano, un ordigno provoca il ferimento di venti persone. In agosto vengono piazzati dieci ordigni sui treni:otto esplodono e colpiscono dodici passeggeri. A Pisa, il 27 ottobre, durante una manifestazione contro i colonnelli greci, uno studente rimane ucciso da un candelotto lacrimogeno lanciato dalla polizia. Il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione per la casa muore il poliziotto Antonio Annaruma. Siamo in un clima incandescente sul piano politico. Si è appena insediato il secondo governo a guida Mariano Rumor. Il suo vice è Paolo Emilio Taviani. Ministro degli Esteri Aldo Moro,agli Interni Franco Restivo. Un monocolore Dc. Capo del Sid è l’ammiraglio Eugenio Henke. Al vertice della polizia c’è Angelo Vicari. Presidente della Repubblica è Giuseppe Saragat. Nel 1969, lo stipendio di un operaio specializzato era di 110mila lire al mese. L’affitto medio di un appartamento a Milano e Roma ammontava a 35 mila lire al mese. La Fiat 500 lusso costava 525 mila lire. Una tazza di caffè al bar costava 50 lire. Un litro di benzina 75 lire. 12 dicembre 1969, mancano tredici giorni a Natale. È quasi sera ma Milano è illuminata a giorno. I grandi magazzini sono sfavillanti. Le compere e gli acquisti. Le luminarie addobbano il centro che sembra un carnevale. Migliaia di persone stipate in pochi metri tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo e piazza San Babila vanno su e giù, osservano le vetrine. Ci sono gli zampognari e i venditori di caldarroste. Ai bar del Barba e Haiti servono espressi in continuazione. La gente transita nei pressi del Teatro alla Scala. Quella sera rappresentano Il barbiere di Siviglia. C’è ressa davanti al Rivoli per Un uomo da marciapiede e all’Excelsior per Nell’anno del Signore. Il freddo entra nelle ossa, con il bavero alzato e i guanti presi da Crippa, quel morbido pullover di cachemire comprato da Schettini e quella cravatta acquistata poco prima da Avolio. Magari un cappello, un Barbisio, un Borsalino. I giovani stanno tutti in Galleria Passerella da Fiorucci per gli ultimi arrivi alla moda. Tutti noi italiani ci sentiamo felici, immortali, allegri, innocenti. A un tratto un forte e dirompente boato rompe quella strana ubriacatura invernale. Giunge dalla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana. Sette chilogrammi d’esplosivo vengono compressi in una cassetta metallica, poi inseriti dentro una valigetta nera, tipo ventiquattro ore. E’ collocata proprio al centro del salone dove gli agricoltori contrattano i loro affari. La gelignite è attivata da un timer. 12 dicembre 1969, piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta. Diciassette morti, ottantotto feriti. Alle 16.37 siamo già vecchi. Fortunato Zinni lavorava alla Banca Nazionale dell'Agricoltura. Lo conosco da tanto tempo. Ai tempi dell'attentato era un dirigente sindacale, poi negli anni amato sindaco di Bresso. Fu lui il primo testimone della strage dall'interno della banca. L'obiettivo della Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano non è casuale come mi ricordava alcuni fa Francesca Dendena, figlia di Pietro Dendena, nei giorni in cui cercava la verità sulla morte di suo padre. Il paese è attonito, martoriato. Nessuno crede a quelle immagini che la televisione trasmette. Frammenti di guerra, scene che sembrano venire da lontano, da un altro paese. Cosa contengono i minuti dopo una strage? Esistono silenzi che spesso sono fin troppo densi di rumori che si annullano a vicenda. Silenzi, attimi, tempo che sembra non passare mai. Frasi, azioni, gesti, sguardi, la vita degli agricoltori di Piazza Fontana si è fermata, ibernata. Statue di sangue e dolore che non hanno più un’anima, impietrite ti guardano come per chiedere un aiuto, come vite sospese che non sono più carne e parole. Quelle statue che paiono di gesso non sono più vive ma parlano. E raccontano una storia che parte da lontano, proprio da quella banca, a Milano. Gli ultimi gesti di Pietro Dendena, Eugenio Corsini, Giulio China, Carlo Gaiani, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni. Gli sguardi di Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Luigi Perego, Oreste Sangalli, Carlo Silva. Le parole di Attilio Val, Angelo Scaglia, Calogero Galarioti. Il dolore dei feriti, di quelli mutilati, di quanti si sono poi lasciati morire e non hanno più trovato un’identità. Frasi che risuonano nel cervello, chiare e rotonde, pizzicano in gola, rintoccano sul fondo della lingua, e premono forte sulla laringe e schioccano, sonore e senza voce, più volte, nel corso del tempo, contro il palato. Silenzi fatti di rumori che si trasformano in urla ingoiate di traverso. E compiono il giro del mondo. In molti le percepiscono, forti e chiare, acute e potenti come bombe. 12 dicembre 1969. Pochi minuti dopo la strage di piazza Fontana. Un’altra bomba viene collocata nella sede della Banca Commerciale di Milano. Possiede le stesse caratteristiche della prima ma non scoppia. Altri ordigni vengono piazzati nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro a Roma. Tredici feriti. Ordigni di elevata potenza colpiscono l’Altare della Patria e l’ingresso del Museo del Risorgimento a Roma. Quattro feriti. Gli inquirenti indirizzano le indagini verso gli anarchici. Ottanta fermati e arrestati. Tra loro ci sono il ferroviere Giuseppe Pinelli e il ballerino Pietro Valpreda. Così entra in scena l'informazione. Bruno Vespa prende la linea dalla Questura e dà la notizia dell'arresto di Valpreda, così certo della sua colpevolezza che sarà invece smentita da lì a qualche anno. Sono le ore in cui l'innocente Giuseppe Pinelli cade dal quarto piano della Questura di Milano durante un interrogatorio. E anni dopo i giudici scriveranno che Pinelli fu colpito da un “malore attivo”. Pietro Valpreda viene rinchiuso in carcere fino al 1972. Innocente come scritto dalle sentenze dei tribunali. Passano gli anni e la magistratura imbocca la pista giusta. Le valigette che contengono l’esplosivo del’69 sono state acquistate da Franco Freda e Giovanni Ventura, fascisti di Padova. Emerge un piano che deve sfociare in un tentativo di colpo di Stato militare. Strage di Piazza Fontana. 17 morti accertati, più l'anarchico Pino Pinelli giudicato dall'ex presidente Giorgio Napoletano la 18esima vittima, 88 feriti. Come è andata a finire? Anni di inchieste, depistaggi da parte degli uomini degli apparati dello Stato, processi. 30 giugno 2001, Corte d'Assise di Milano. I militanti del gruppo neofascista Ordine Nuovo, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni, condannati all'ergastolo. Tre anni a Stefano Tringali, per favoreggiamento nei confronti di Zorzi. Non luogo a procedere per il collaboratore di giustizia Carlo Digilio. 12 marzo 2004. La Corte d'Assise di Appello di Milano assolve Delfo Zorzi e Carlo Maria Maggi per insufficienza di prove, Giancarlo Rognoni per non aver commesso il fatto, e riduce da tre anni a uno la pena per Stefano Tringali con la sospensione condizionale e la non menzione della condanna. 3 maggio 2005, il processo si chiude in Cassazione con la conferma delle assoluzioni degli imputati e l'obbligo, da parte dei parenti delle vittime, del pagamento delle spese processuali. Per la strage di piazza Fontana non c'è ancora oggi una verità giudiziaria, ma resta però una verità storica anche dalle sentenze di assoluzione. Le responsabilità di Franco Freda e Giovanni Ventura, ritenuti anche dalla Corte di Cassazione tra gli esecutori della strage di piazza Fontana, anche se non più giudicabili dopo l'assoluzione definitiva nel gennaio del 1987. _______________________________ Ascolta “Gli Occhi della Storia”, dove la radio diventa narrazione nel racconto degli anniversari più importanti della storia. Ne "Gli occhi della Storia” i giornalisti di Giornale Radio descrivono e contestualizzano i principali eventi del passato, per rivivere e comprendere a pieno gli avvenimenti che hanno cambiato la nostra società. 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